Le origini dei simboli di Messina

A fine agosto abbiamo iniziato un viaggio tra i capoluoghi di provincia della nostra Sicilia e nel particolare, le origini e il significato dei loro stemmi. Siamo partiti da Catania e dal suo Liotru. Il nostro itinerario ci porta oggi a Messina.

Lo stemma è uno “Scudo a testa di cavallo, di rosso alla croce d’oro, circondato da due tralci di vite al naturale fruttati d’oro, timbrato dalla corona di città»; il gonfalone è invece un «drappo di rosso alla croce di giallo, sorretto da asta cimata di alabarda“. Ecco l’araldica (scienza del blasone  e studio degli stemmi) come descrive i simboli della città. I ricorsi storici ci narrano che all’inizio, il simbolo della città peloritana era una falce che simboleggiava la forma del porto, che però successivamente alla occupazione dei Messeni (abitanti della Messenia, una regione del Peloponneso, in Grecia) divenne una M. Siamo intorno al IV secolo d.C.

Ma siccome la nostra Sicilia evidentemente era già all’epoca era terra ricca di attrazioni e ricca, le invasioni e le occupazioni che si succedettero nel tempo furono davvero innumerevoli. La città di Messina, all’epoca chiamata Zancle (che in greco voleva appunto dire “falce”), non faceva di certo eccezione. Fu il “turno” dei Mamertini, ossia soldati mercenari così chiamati perché figli di Marte,   che sostituirono la falce con un castello (altre tradizioni parlano invece di tre torri in campo verde).

Bisogna arrivare al V secolo d.C. per vedere la nascita di ciò che è tutt’oggi il simbolo della città. La croce d’oro su sfondo rosso più le quattro B (Beta) è data dai Paleologi, gli Imperatori d’Oriente. Per l’esattezza, l’Imperatore Arcadio, scacciato da Costantinopoli, capitale dell’Impero, venne circondato dai Bulgari tra le mura della città dell’Antica Grecia di Tessalonica. Riuscì comunque a inviare le richieste di aiuto necessarie a Messina, considerata già allora una delle più forti e vigorose città del Mediterraneo. La città siciliana rispose inviando ben quindici navi grazie alle quali riconquistò Costantinopoli restituendola al liberato Arcadio, il quale, come segno di ringraziamento fece incidere “Gran mirci a Messina”, cioè “Molte grazie a Messina”, scritta ancora oggi presente, a lettere dorate, sui cancelli del Municipio e donò ai messinesi il vessillo con lo stemma imperiale. In più le conferì il titolo di città principale dell’Impero al pari di Costantinopoli, il Governo perpetuo della Sicilia (la capitale di allora era Siracusa) e ordinò che la nave capitolina di Messina avesse in mezzo a tutte le altre il primo posto e che, in periodo di navigazione, venisse utilizzata solo quella.

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Allo stemma, in alcune figurazioni antiche, è associato il motto latino “FERT LEO VEXILLUM MESSANÆ CUM CRUCE SIGNUM” (Porta il leone la bandiera con la croce, ecco il segno di Messina), che accompagna il leone rampante nello stemma attuale della provincia di Messina. Leone che è presente anche nel bellissimo campanile del Duomo della città, per l’esattezza al 4° piano, con una particolarità a dir poco eccezionale: si agita per tre volte l’asta con il vessillo crociato di Messina, muove la coda e ruggisce e invita tutti i personaggi presenti nel campanile ad animarsi. La sua figura è davvero imponente (parliamo di una rappresentazione alta circa 4 metri) e ha un valore simbolico molto forte: rappresenta la forza  della città sin dai Vespri Siciliani.


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